Concerto gratuito.
Per la libertà di informazione.
A difesa di Radio Blackout 105.250 fm.
Contro la chiusura degli spazi di libertà.
Contro la chiusura di Radio Blackout 105.250 fm.
Piazza Castello, Torino
::: SPEGNI LA CENSURA, ACCENDI BLACKOUT! :::
Dal 1992 Radio Blackout 105.250 fm è una radio no profit,
volontaria, autogestita, che non gode né di finanziamenti pubblici né
privati, ma vive solo dei propri mezzi, del frutto dell’impegno di chi
la radio la forma e la fa giorno per giorno, negli eventi pubblici e
non. Una radio che vuole dare voce a tutte le lotte sociali, alle
minoranze dimenticate e in lotta, a tutti gli scartati dai media
tradizionali, dall’indubbiamente manipolata “informazione pubblica”.
Pochi peli sulla lingua, molta sostanza, molto realismo, concretezza e
cinismo. Per farla breve, diciamo le cose come stanno, senza
intermediazioni, senza editori o spinte e strattoni di alcun tipo.
Il 30 novembre 2009, è venuta in scadenza la concessione dello
stabile di via Cecchi che (per ora) ospita Radio Blackout. Il 2
dicembre, ci viene frettolosamente comunicato che in ragione della
rifunzionalizzazione dell’area (ricordate, l’accordo Comune di Torino –
Associazione Vodafone Italia e Umana Mente?) non potrà darsi corso al
rinnovo. Tuttavia, visto che una radio non può fare le valige come un
qualunque sfollato-scacciato-esiliato, abbiamo il “congruo” termine di
rilascio di 4 mesi.
Negli ultimi mesi il Comune di torino ci ha comunicato un’ulteriore
proroga del contratto fino al 30 giugno 2010. Ma, a sentire loro,
questa sarà l’ultima proroga. Non ne verranno assegnate altre.
SPEGNI LA CENSURA, ACCENDI BLACKOUT! E’ una campagna a sostegno e difesa delle libere frequenze.
ASCOLTA*SUPPORTA*SOSTIENI Data di scadenza, 30 giugno 2010. Noi l’etichetta sul tappo, non la troviamo..
Radio Blackout 105.250 fm – Associazione culturale
via cecchi 21/a, Torino
www.radioblackout.org
Il 25 aprile del 1945 tutta l’Italia si fermò per
celebrare la fine del ventennio fascista e con esso la fine di una
sciagurata stagione politica contrassegnata da una feroce e sanguinosa
dittatura. Ma nelle speranze di coloro che contribuirono attivamente
per contrastare il regime, la fine del ventennio avrebbe dovuto
coincindere con l’inizio di una nuova era, un’epoca all’insegna di
un’inedita pace tra i popoli.
Ad animare la resistenza infatti furono tutti quegli uomini
che preferirono il carcere, il confino di polizia, l’esilio alla
sottomissione; tutti quegli uomini che per oltre vent’anni non dettero
tregua al fascismo e lo combatterono ovunque fosse stato possibile
(pensiamo ai giovani disertori e agli stessi anarchici che la
resistenza la iniziarono già negli anni venti con Lucetti – famoso per
le sue bombe contro il duce – e in particolare con gli Arditi del
Popolo, unica forma di resistenza organizzata contro le squadracce
fasciste).
Questi uomini lo facevano spinti dalle grandi idealità storiche attive nelle loro coscienze.
Oggi, a distanza di 65 anni anni da quella data, la
sensazione che si ricava volgendo lo sguardo alla situazione
complessiva è quella di un tradimento totale rispetto a chi scelse la
lotta armata in vista di un mondo migliore.
Il paese in cui viviamo è la dimostrazione più lampante delle
contraddizioni e dei limiti insiti in qualsiasi forma di democrazia.
Dietro alle false promesse di un bipolarismo di facciata, il sistema
democratico rivela il suo autentico volto: un paese dove le storiche
contrapposizioni ideologiche sono state progressivamente sacrificate
sull’altare di un populismo senza ritorno, una corsa all’ultimo voto
dove il razzismo più bieco e l’intolleranza verso il diverso diventano
la chiave del consenso.
Ora per capire come sia stato possibile creare una simile
situazione e quali fattori abbiano contribuito a determinarla è forse
necessario analizzare alcuni accadimenti che si sono verificati subito
dopo la fine della resistenza. In quei giorni i rappresentanti della
vecchia classe dirigente (responsabili della guerra e della miseria
conseguente) seppur sconfitti riuscirono con grande accortezza
diplomatica a riconquistare lo scettro dell’antico potere (basta
ricordare che nelle questure i dirigenti di polizia rimasero pressochè
gli stessi del ventennio). Ebbero dalla loro gli equilibrismi e i
compromessi del potere ma soprattutto un insperato connubio tra
partiti, sindacati e padroni.
In quei giorni vi furono molti che non insorsero, che non si
ribellarono ma che seppero immediatamente ricollocarsi nei quadri alti
del potere. Costoro per interi decenni hanno lavorato a mistificare i
pensieri e le azioni di quanti invece si sacrificarono allora.
In questa versione edulcorata la guerra partigiana non è più la lotta
di un popolo alla macchia ma il riscatto di una nazione in armi, il
partigiano non sarebbe perciò insorto per una scelta morale ma per amor
di patria o per la gloria e la vittoria di un partito.
Risulta in questo senso altrettanto fuorviante il
parallelismo storico tra il primo e il secondo risorgimento, risultato
di una interpretazione storica che mira a preservare il potere nelle
sue fondamenta.
Nella rievocazione reiterata e densa di retorica che ormai caratterizza
il 25 aprile vi ritroviamo infatti tutta l’ipocrisia e l’ambiguità di
un sistema statale che può mantenersi in piedi soltanto attraverso la
menzogna e l’annientamento sistematico dell’individuo.
Per noi libertari l’importanza del 25 aprile è invece legata
alla consapevolezza che l’avvento di una qualsiasi forma di governo
manterrà sempre in moto la macchina statale dell’inganno storico: gli
eserciti, la guerra, lo sfruttamento e la galera.
Contro la dittatura democratica. Torino Squatter, anarchici e libertari